La Fondazione Dolomiti Unesco spaventata dall’esperienza della scorsa estate post lock-down in cui la montagna è stata letteralmente presa d’assalto da un flusso di turisti elevatissimo, propone su piattaforma Youtube una serie di piccoli spot video che dovrebbero informare il turista sui comportamenti più corretti da tenere durante il soggiorno in Dolomiti.
Il protagonista di questi spot è l’ Om Salvarech, una figura mitica che abitava un tempo le valli Ladine e l'alto agordino, e che negli spot è terrorizzato dai comportamenti dei turisti almeno quanto i turisti lo sono dalla sua presenza.
Sicuramente la prima cosa che colpisce di questi video, oltre alla bassissima qualità del prodotto dal punto di vista delle immagini, è il basso livello culturale del messaggio ambientale che oltre ad essere farcito di luoghi comuni molto cari al greenwashing a nostro avviso risulta anche offensivo nei confronti dei turisiti (a cominciare dalla macchina targata Venezia), che vengono stigmatizzati in macchiette da teatro d’avanguardia.
Questa narrazione mediatica del cambiamento climatico che tende a concentrare l’attenzione sull’impronta ambientale individuale delle singole persone tralasciando con grande facilità le responsabilità di un sistema economico basato sullo sfruttamento e la predazione delle risorse sia esse rinnovabili o meno, è tipico dell’attuale momento storico.
Del resto il Carbon Major Report 2017 evidenzia in maniera inequivocabile come poche aziende siano responsabili del 70% delle emissioni di CO2 a livello globale e come la crisi climatica non sia distribuita in maniera equa fra tutti gli abitanti della terra, siano essi consumatori o produttori.
Questa narrazione, che a quanto pare è cara anche alla Fondazione Unesco, viene definita lifestyle environmentalism e si basa sul principio che si potranno raggiungere risultati di mitigazione del cambiamento climatico solo grazie alle scelte individuali di ognuno di noi. In questa visione la lotta contro il cambiamento climatico è intesa come lotta individuale scollegata dalla comunità in cui si inserisce ed è particolarmente apprezzata dai grandi gruppi produttivi per nascondere le loro responsabilità.
Nell’abbigliamento outdoor così come in tutte i campi produttivi è evidente come le aziende presentino i loro prodotti come sostenibili da un punto di vista ambientale, cavalcano la diffusa convinzione che esista un modo di consumare green e che stia al consumatore acquistare i prodotti più consoni per salvare il pianeta.
Il greenwashing pervade il marketing contemporaneo ed è assai ricorrente incappare in situazioni surreali come quella di una nota rivista di outdoor che presentava qualche giorno fa una altrettanto nota ditta di produzione di lana polare 100% poliestere come una azienda sostenibile!
Un’altra tipologia di ambietalismo a cui forse voleva fare riferimento la fondazione Unesco scegliendo come protagonista l’Om Salvarech (raffigurato più come un Homo Neandertalensis piuttosto che con la classica raffigurazione con rami di abete) è quella che viene definita come il livelihood environmentalism.
Questa tipologia di ambientalismo si basa sulla ricerca di esempi virtuosi di coesistenza uomo-natura nelle comunità indigene marginalizzate. Una specie di mito del “bon sauvage” che tende a demonizzare lo stile di vita del consumatore medio.
Fortunatamente però l’idea di giustizia climatica che nasce in questi anni ha portato ad una nuova visione ambientale.
Questa visione parte dal presupposto che non possa esistere una soluzione alla crisi climatica se non attraverso una movimento di massa che scuota tutta la società e che unisca la lotta ambientale a quella di classe per ridare dignità ed assicurare giustizia alle generazioni future, alle comunità marginalizzate, alle classi sociali meno abbienti.
Nessuna trasformazione può avvenire solamente attraverso azioni personali ed è necessario che queste singole azioni assumano una valenza collettiva attraverso la lotta politica.
La Fondazione Dolomiti Unesco con i video di Dolomeyes : fear at first sight si sofferma sul rumore delle macchine sensibilizzando sulla necessità di andare piano ma non fa nulla per sostenere la politica della chiusura dei passi dolomitici o per incentivare una migliore mobilità pubblica;
La Fondazione Unesco insiste sul fatto che non si debba non raccogliere fiori e rocce, tralasciando gli sbancamenti che vengono realizzati in piena area Dolomiti Unesco per la creazioni di nuovi piste da sci oppure per la creaione delle infrastrutture per l'innevamento artificiale;
Nei video il mostro dolomitico inorridisce di fronte al prolungarsi della doccia in rifugio ma non menziona i bacini di ritenzione per l’innevamento artificiale e non si scandalizza di quanta acqua venga utilizzata per innevare giornalmente le piste dolomitiche in inverno (acqua che basterebbe in un solo giorno per fare tutte le docce della vita del singolo turista).
Evidentemente per Dolomiti Unesco il problema maggiore per la tutela del territorio dolomitico sono i turisti che vengono a passeggiare con le infradito, i turisti che prendono il sole utilizzando crema solare e i Veneziani che camminano parlando al telefono o facendosi i selfies.
Ancora una volta Dolomiti Unesco perde una grande occasione per prendere una posizione chiara nei confronti della tutela del paesaggio dolomitico e per fare della promozione che inviti ad un fruizione rispettosa della montagna da parte di tutti.
Peccato!
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