“Ogni inizio è solo un seguito, e il libro degli eventi è sempre aperto a metà”. Finisce così la poesia di Wislawa Szymborska intitolata “Amore a prima vista”. Ogni inizio è solo un seguito per tutti i colpi di fulmine, anche per quello di Michele Boschetti per le borse da bikepacking.
“Non posso dimenticarlo. Ho visto la mia prima borsa da bickepacking quindici anni fa. Me l’ha fatta scoprire Marco Costa, un amico che era stato in Alaska con una fatbike che montava un incredibile sottosella”.
E’ nato prima il desiderio o il bisogno?
“Beh, al tempo il desiderio non c’era perché non solo nessuno produceva borse da bickepacking in Italia, ma nemmeno nessuno le usava. E il bisogno lo risolvevo con uno zaino sulle spalle. Devo precisare che non sono un ciclista. O meglio, sono un aspirante ciclista quanto da ragazzo ero un aspirante alpinista. Andavo in montagna ad arrampicare in mtb, carico di corda zaino e tutto il necessario. I miei riferimenti erano Cassin e Tita Piaz: non avrei mai potuto deluderli facendo portare i miei materiali in macchina ai miei amici! Ed ecco che per aspirare a diventare un alpinista intanto mi facevo chilometri e chilometri in sella, senza nemmeno sapere quanti fossero: misuravo le distanze da Lonigo, dove vivevo, alla Marmolada con il decimetro. Poi ho smesso di andare in montagna e sono diventato da aspirante a ex alpinista. Però rimango un aspirante ciclista, e credo lo rimarrò sempre”.
Aspirante ciclista ma visionario della bici: hai visto con anni di anticipo il futuro.
“Appena ho visto quella borsa da bikepacking… eh, lì sì che ho cominciato a desiderare di averne una. In Italia ovviamente non ce n’erano, così l’ho comprata da un’azienda americana. Purtroppo è durata pochissimo. Allora mi sono rivolto a un produttore canadese: stava per partire per un viaggio in bici di 6 mesi in Australia, dopo mi avrebbe fatto avere la borsa. A parte l’attesa di sei mesi, ma il pensiero è stato: e se me la facessi io?”
E così è nata la tua azienda.
“No, non subito. La prima borsa da bikepacking me l’ha cucita mia madre ed è stato un disastro. La seconda l’ho fatta con le vele da surf. Non posso dire di non avere sperimentato. Ma la cosa interessante è che improvvisamente per me è stato chiarissimo quello che sarebbe successo al mondo della bici, e contemporaneamente quello che sarebbe successo a me e alla mia vita”.
E cosa sarebbe successo da lì a 10 anni al mondo della bici (e a te)?
“Al tempo c’erano solo mtb e bici da strada, e fondamentalmente la bici era gara; il gravel non si sapeva nemmeno cosa fosse. Quanto a me… avrei lasciato dopo 26 anni il mio lavoro di assicuratore e avrei prodotto borse da bikepacking. Non sapevo se avrebbe funzionato, ma ciò che è certo è che mi sarei pentito per sempre se non ci avessi provato. L’anno di svolta è stato il 2011. Lo ricordo bene perché mia moglie ha un’azienda vinicola sui colli Euganei, stavamo vendemmiando e all’improvviso lei si è sentita male. Siamo corsi in ospedale e… abbiamo scoperto che era incinta! Così è arrivata la signorina Uva, ed è nata ufficialmente MissGrape. Mi piace pensare che grazie a questa magnifica coincidenza ho provato a seguire il mio “amore a prima vista”.
Dieci anni sono passati. Cosa succederà tra altri dieci anni?
“Credo che in Italia la bici avrà un ruolo centrale, come oggi è nei Paesi nordici. Ci sarà una bici perfetta per ogni persona. Useremo le cargo per fare la spesa, le bici elettriche nell’urbano. E tutte avranno una borsa su misura dove mettere le chiavi, il cellulare, gli oggetti personali… e speriamo nessuna mascherina! Io, per portarmi avanti, sto cominciando già a fare borse per la categoria commuting”.
Quale deve essere l’essenza di una borsa da bikepacking?
“Io penso che ogni prodotto per viaggiare debba essere un prodotto concreto, senza fronzoli, resistente e duraturo. Non deve dare cattive sorprese, quindi la parola chiave è affidabilità. La garanzia deve essere a vita: io punto a fare faccio un prodotto che duri per sempre".
Come l’amore
ndr
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