Luca Serenthà in montagna non ci è nato, eppure la sente come casa sua. E, come ogni volta in cui le cose non capitano ma si scelgono, il rapporto che si crea è speciale.
Sempre meno mi sono accontentato di guardare la montagna solo come chi cerca un bel posto per svagarsi (aspetto pur importante che rimane). Io amo imparare cose nuove, che si tratti di antropologia, di storia dell’alpinismo, di geologia, di materiali tecnici, di climatologia, di ecologia… E la montagna la vivo di conseguenza. Mi piace stare a valle e nei boschi, che sono pieni di sorprese e meraviglie, ma non mi nego il piacere di salire su qualche cima per spingere lo sguardo lontano. Amo conoscere i luoghi, i paesi e le persone che ci vivono. Non c’è niente da fare, turista della montagna ero e turista rimango, perché non ci vivo. Ma cerco di incontrare i luoghi in profondità di verificare i miei pregiudizi (tutti ne abbiamo, l’importante è non fermarsi lì) e andare oltre gli stereotipi.
Una passione, la tua, che è diventata consapevolezza e poi impegno concreto.
Sì, da qualche tempo ho deciso di liberarmi del tempo per provare a dare il mio contributo nel raccontare la montagna, cercando di farla conoscere anche nei suoi aspetti meno appariscenti. Così è nato Fatti di Montagna, on-line da febbraio 2020. Continuo occuparmi e scrivere di materiale tecnico, ma con Fatti di Montagna voglio contribuire a far apprezzare la montagna né come luna park, né come museo. Un po’ come già ho scritto in Silenzi in montagna (Mimesis 2015) o come ha scritto meglio e prima di me Enrico Camanni.
Credo ci sia voglia da parte di molti di conoscere ed entrare più in relazione con i luoghi, anche se un certo marketing continua a insistere su alcuni stereotipi e su un modello di turismo ormai obsoleto che non fanno bene a nessuno.
Possiamo dire che il rispetto per la montagna dovrebbe essere una chiave di lettura del mondo in generale?
Ognuno ha le sue chiavi di lettura… l’importante è aprire sguardi e non diventare autoreferenziali. La mia è una montagna lenta e sostenibile. Se parliamo di sostenibilità in montagna lo facciamo perché è fondamentale per tutti, ovunque viviamo. La montagna non è mai stata un’isola, semmai un centro. Poi idealmente è stata messa ai margini e sfruttata a uso e consumo dei nuovi centri economici. Ma per vincere la sfida di un futuro possibile dobbiamo metterci in testa che siamo tutti sulla stessa barca. Montagna e città non possono che essere alleate.
Si parla sempre di sostenibilità. Ma cosa significa, concretamente?
Purtroppo il termine sostenibilità si è svuotato di significato a causa dell’abuso che se ne fa. Quando io parlo di sostenibilità ho in mente il concetto ampio dell’agenda Onu 2030, non solo quella ambientale. Ma ritengo interessante anche quel che dice l’antropologo Annibale Salsa. Lui parla, prendendo il termine in prestito dalla sociologia francese, di “durabilità". Il rapporto tra noi, le nostre attività e l’ambiente in cui viviamo deve essere durevole. Sostenibilità significa questo: chiedersi se quello che facciamo può durare nel tempo, oppure se consuma risorse incoscientemente. La montagna non è l’unico posto dove applicare questo concetto, ma sicuramente riserva ancora margini per essere un laboratorio di nuovi modelli economici e sociali diversi da quelli che hanno già mostrato di aver fallito. Inoltre è un territorio così sensibile che ci mostra subito quanto siamo fuori strada rispetto a quella durabilità di cui dicevo. Si veda ad esempio la triste sparizione dei ghiacciai.
La cosa difficile è comunicare questa idea di montagna, e diffonderla.
Ho scritto un Manifesto di Fatti di Montagna che vuole andare proprio in questa direzione. Condividere il manifesto nei suoi contenuti non significa solo essere d’accordo, ma domandarci se stiamo facendo tutto il possibile perché il nostro agire non ipotechi negativamente il futuro della montagna, dell’ambiente in generale e di conseguenza il futuro di tutti noi. Mi piacerebbe che attorno al manifesto si creasse una comunità di persone che lo diffondessero. E così, forse, si potrebbe cominciare davvero a pensare a una montagna che punta a riconoscere i valori del proprio territorio senza omologarsi, che si dedichi a un turismo artigianale e non industriale, che non viva di solo turismo, che ritorni a essere centro anche culturale. Questa non è una montagna perdente: è l'unica montagna in cui l’alleanza uomo-ambiente possa essere duratura.
Come si coniuga questa idea di montagna con la necessità di fare business?
Tra i tanti sguardi sulla montagna c’è di diritto anche quello di chi cerca di fare economia in montagna oppure producendo articoli o servizi dedicati a chi la montagna la frequenta. Troppo spesso si ha la sensazione che quando si parla di valori è un conto, ma quando si parla di business è un altro. Con il risultato che chi fa business l’attenzione alla sostenibilità la cerca se mai per un po’ di green washing senza crederci davvero (non sempre ovviamente e per fortuna); mentre chi propone certi valori gira alla larga da tutto ciò che è commerciale temendo si sporcarsi. Invece la sfida è proprio quella di portare avanti le cose insieme, altrimenti è tutta facciata e non si va da nessuna parte. Magari non si arriva subito a fare il massimo, magari a volte si sbaglia e si devono rivedere delle cose, ma si cerca sempre di fare il meglio che si può. Con onestà.
Per questo hai chiesto a Elbec di partecipare al tuo progetto?
Con Elbec ho trovato una incredibile sintonia di visione. Credo che ancora prima che un prodotto di qualità per chi cammina, scia, corre, va in bici o vive in montagna, sia un progetto per la montagna. Una ricerca di quella durabilità all’interno del territorio montano di cui parlavamo prima. Elbec interpreta appieno questo spirito.
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