La scienza oggi sa che il tempo scorre diversamente in alto e in basso. Se si mette un orologio in alta montagna e uno a livello del mare, quello che sta in alta montagna gira più veloce. Strano ma vero.
Pensando di fare una prova, ci siamo chiesti se ci fosse qualcuno che avrebbe potuto sperimentarlo davvero… e ci è venuto in mente Matteo Rivadossi.
E’ un alpinista, da 35 anni colleziona importanti salite concentrate in Adamello, Dolomiti e Valle del Sarca firmando l’apertura di una cinquantina di difficili itinerari ed addirittura alcune prime ascensioni assolute all’estero.
Sale in tutte le stagioni, anche con le piccozze, sia su vie di ghiaccio moderno che in dry tooling, e su ghiaccio classico e moderno colleziona un centinaio di cascate tra le più belle e impegnative delle Alpi italiane, slovene, svizzere e francesi aprendo decine di varianti e di nuove salite.
E pure scende. Scende per i torrenti, specialista della velocità, le sue solitarie sportive anticipano una filosofia decisamente innovativa e superano il numero di 500 i canyon scesi in Italia, Francia, Spagna, Svizzera, Grecia e Slovenia.
Ma non basta.
Matteo scende ancora di più, dove pochissimi uomini hanno messo piede, nelle viscere della terra. E’ uno speleologo (“a tempo perso, pieno o troppo”, dice lui), uno dei protagonisti della scena esplorativa italiana e internazionale.
Spinto dalla curiosità ad appena 11 anni ha iniziato a frequentare le grotte e le pareti del paese. La mamma lo accompagnava con la Fiat 126 sul bordo dei pozzi (“Da genitore dico che doveva essere davvero pazza”) e quattro anni dopo il padre, per paura di vederlo spiaccicato, gli regala un corso di roccia e ghiaccio. Da quel momento Matteo è diventato quel che è: “Assurdo”, come lo chiamavano, ossia un folle appassionato di speleologia, di arrampicata e di torrentismo. Ma è la speleologia, vissuta in maniera piena e maniacale, a condizionare la sua vasta attività in montagna.
Poco più che diciottenne ho commesso l’errore più grande: capitare una sera alla sede del Gruppo Grotte Brescia e chiedere le chiavi per andare all’Omber en Banda al Bus del Zel, chilometrico sgarro alla modestia del fenomeno carsico bresciano
"Una corsa a scendere l’abisso più profondo, inseguendo labirinti tridimensionali nel tentativo di ripercorrere la strada che l’acqua compie dalle zone di assorbimento alle sorgenti. Vuoti fisici impossibili solo da immaginare che ora, misurati metro per metro, anneriscono delle carte geografiche. Adrenalina, abnegazione, follia: bisognava spingersi fin dove c’era grotta e documentare. Così facendo ho illuminato per primo quasi 300km di buio. Con questo battesimo, è ovvio che poi tutta l’altra montagna abbia significato sempre esplorazione, cioè curiosità e fantasia. A prescindere si trattasse di arrampicata libera, sportiva, artificiale, su ghiaccio, di speleologia o di torrentismo. Essere i primi a scoprire, valorizzare e quindi far conoscere è sempre stata la mia deformazione"
Si parla spesso, con fare epico, di chi “supera i limiti”. A noi piace l’idea di te che i limiti li “sfiori”.
Sì, nella mia idea di montagna ho toccato spesso il limite. Mio o assoluto
"Ho sfiorato le barriere tecniche e mentali dell’8a con le mani, dell’A5 sulle staffe, dell’M14 e del ghiaccio più effimero con le piccozze. Ho bucato per primo il buio infinito dei 643 m del pozzo più profondo del mondo, toccandolo nel punto più basso. Per primo ho ripetuto il fondo più remoto della terra posto oltre la mitica barriera dei -2000 metri. Ho sentito le sberle dei torrenti più difficili, dei tuffi da oltre 30 metri. Ho avuto la fortuna di scendere alcune gole pazzesche in Africa come Kalambo e Jinbar e di salire addirittura delle montagne nuove come il Cao Grande o senza cima come il Sotano de las Golondrinas che è, al tempo stesso, montagna negativa e strapiombo più grande del mondo”
Possiamo dire, in due parole, che sei un appassionato esploratore?
Non lo so, faccio fatica con le definizioni. Se mi chiedessero che cosa voglio scritto sulla mia lapide non saprei che dire.
"Certo è che ho esplorato posti meravigliosi, spalmato sulle placche di granito o di acqua gelata, immerso, nascosto o appeso a vuoti di calcare. Con la muta, le scarpette o l’acetilene, morendo di freddo e di caldo, innamorato di pinnacoli, persone e fiumi sotterranei in un caleidoscopio di sensazioni. Ma ho esplorato soprattutto me stesso, vivendo dei ricordi a loro legati, appeso alle mie paure come in balia dei sogni successivi. Una vera patologia vissuta a ritmi frenetici per trent’anni fino a ieri. Ora posso piangere al traguardo di una corsa in cui credo di essere stato comunque più fortunato che determinato. Posso farlo anche per i tanti amici che con me hanno condiviso quelle avventure totalizzanti e che ora non ci sono più”.
Su “appassionato”, di certo non ci sono dubbi.
Matteo Rivadossi on M come Mostro, D13+ DTSIntervista a Wiliam da Roit - ultra runner e uomo libero - ufficial testimonial Elbec 2018